A pochi chilometri da Viterbo, immerso nel cuore della Tuscia, esiste un luogo che sembra uscito da un sogno antico: Civita di Bagnoregio, conosciuta nel mondo come “la città che muore”. Un nome che incute rispetto, ma che racconta molto di più di una semplice fragilità geologica. Civita non muore, resiste. È un luogo che lotta ogni giorno contro il tempo, la natura e l’oblio, e proprio per questo esercita un fascino magnetico su chiunque la raggiunga.
Arrivare a Civita di Bagnoregio non è come raggiungere un borgo qualunque. Si parte dal paese moderno, Bagnoregio, e dopo un tratto in discesa ci si trova di fronte a un’immagine che mozza il fiato: un altopiano di tufo sospeso nel vuoto, circondato da un mare di calanchi, quelle colline d’argilla erose dal vento e dalla pioggia che danno al paesaggio un aspetto lunare. Il borgo sorge lassù, come una visione sospesa tra terra e cielo, collegato al mondo solo da un lungo ponte pedonale che sembra un filo d’argento. Attraversarlo è già parte del viaggio, una soglia simbolica tra presente e passato.
Salendo verso il borgo, la sensazione è di entrare in un’altra dimensione. I rumori della città svaniscono, sostituiti dal suono del vento che accarezza le pietre antiche. L’arco d’ingresso, costruito in epoca etrusca e modificato nel Medioevo, introduce in un dedalo di vicoli stretti e case in tufo color miele. Ogni angolo racconta una storia: una finestra decorata, un arco che si apre su un giardino nascosto, un portone consunto dal tempo. Tutto qui è fermo e in movimento allo stesso tempo.
Civita non ha più di una decina di abitanti fissi. Eppure, quando la si percorre, si ha la sensazione che le pietre respirino, che ogni muro conservi la memoria di chi l’ha costruito. È un luogo fragile, certo, ma anche profondamente vivo. Le botteghe artigiane, le piccole trattorie, i fiori che spuntano dai balconi parlano di una quotidianità lenta, che altrove non esiste più.
Camminando per via San Maria del Cassero, la strada principale, si arriva alla piazza centrale, dove sorge la Chiesa di San Donato. L’interno custodisce un crocifisso ligneo del Quattrocento, ma è l’atmosfera del luogo a catturare. Quando la campana suona, il suono si espande tra le gole dei calanchi, come un eco di secoli. Qui si tiene anche la tradizionale corsa degli asini, una festa che unisce gli abitanti di Civita e Bagnoregio in un rito collettivo di memoria e appartenenza.
Ogni stagione cambia il volto di Civita. In estate il tufo si accende di riflessi dorati, i tramonti tingono di rosso le valli e il silenzio diventa quasi irreale. In autunno la nebbia avvolge tutto in un abbraccio misterioso, e il borgo sembra sospeso in una dimensione onirica. In inverno le piogge scavano nuovi solchi nelle colline, ma il paese resta lì, aggrappato alla sua roccia. In primavera, infine, il verde esplode tutt’intorno, e Civita pare rinascere ancora una volta.
Chi visita questo luogo non lo dimentica. Forse perché non è solo un borgo, ma una metafora. Civita di Bagnoregio è la rappresentazione fisica della fragilità umana e della resistenza. È la dimostrazione che la bellezza non è eterna, ma può durare quanto basta per lasciare un segno profondo. Molti artisti, scrittori e registi ne sono rimasti affascinati: da Orson Welles, che la scelse come location per alcune riprese, a chi l’ha celebrata come simbolo della bellezza che sfida il tempo.
Negli ultimi anni il borgo è diventato una meta di turismo lento e consapevole. L’accesso è regolato da un biglietto simbolico che serve a preservare il luogo e finanziare interventi di conservazione. Ogni euro raccolto serve a mantenere viva questa “città sospesa”, perché l’erosione continua a minacciarla. Il tufo su cui sorge si sgretola lentamente, e per questo vengono effettuati costantemente lavori di consolidamento. Ma se da un lato la natura la consuma, dall’altro la protegge, isolandola e rendendola quasi intatta.
A Civita non ci si va solo per vedere qualcosa di bello. Ci si va per sentire. Per ascoltare il vento tra le mura, il rumore dei passi sui sampietrini, il suono delle campane che scandiscono il tempo di un mondo che non esiste più. Ci si va per imparare a guardare il silenzio, a capire quanto valore abbiano le cose destinate a finire. È un luogo che costringe a rallentare, a respirare, a rendersi conto che la bellezza non è eterna, ma fragile, e proprio per questo preziosa.
Per chi arriva da Roma, la gita a Civita di Bagnoregio è una fuga dalla velocità. Si percorrono circa due ore di strada, attraversando paesaggi che cambiano lentamente: dalla campagna romana ai boschi della Tuscia, fino a queste valli spoglie ma affascinanti. Lungo il percorso si incontrano agriturismi, vigneti, piccoli paesi che meritano una sosta. Ma è solo quando appare Civita, lassù, sospesa nel vuoto, che si capisce di essere arrivati in un luogo speciale.
Chi sceglie di fermarsi una notte lo scopre ancora di più. Al tramonto il borgo si svuota, i visitatori scendono e restano solo le luci calde delle finestre, il rumore del vento, i passi di chi abita davvero qui. È il momento più autentico: la città che muore torna a vivere, nel silenzio, come una fiamma che resiste.
Visitare Civita di Bagnoregio significa guardare in faccia il tempo, ma anche accettare la sua bellezza. È un luogo che insegna a non dare per scontato ciò che si ha, a trovare poesia nelle crepe, a capire che la fragilità è parte del fascino delle cose vere. Non a caso, chi ci va spesso torna. Perché Civita non si dimentica: resta dentro, come una fotografia impressa nella mente. Un piccolo miracolo di pietra sospeso tra cielo e abisso, dove ogni passo è un atto di meraviglia e rispetto.